seguono la malattia e la squallida vecchiaia e la fatica,
finchè ci coglie la morte inflessibile e inclemente.
(Virgilio, dalle Georgiche)
La stagione più bella per gli sfortunati mortali fugge per prima;
seguono la malattia e la squallida vecchiaia e la fatica, finchè ci coglie la morte inflessibile e inclemente. (Virgilio, dalle Georgiche)
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Didone e il capo troiano giungono nella stessa spelonca,
per prima la terra e Giunone pronuba danno il segnale; rifulsero folgori e l'etere consapevole del connubio, ulurarono dalle più alte vette le ninfe. Quelle fu il primo giorno di morte. E la prima causa di sventure. (Eneide, Virgilio) Perchè laceri uno sventurato, o Enea? risparmia un cadavere;
risparmia di profanare le pie mani. Troia mi ha generato non estraneo a te, e il sangue che vedi non sgorga dal legno. Oh fuggi terre crudeli, fuggi un avido lido. Son Polidoro. (Virgilio, Eneide) NOTA: al tempo della guerra di Troia Polidoro era stato mandato dal padre Priamo, con parte del tesoro della città, nel Chersoneso Tracico presso Polimestore, re della regione. Quando giunse la notizia della caduta di Troia, Polimestore fece uccidere proditoriamente Polidoro per impossessarsi del tesoro. Nel terzo libro dell'Eneide, da cui son riportati i versi sopra, Enea narra di come, giunto nella terra di Polimestore, strappò delle fronde per coprire l'area dell'altare appena eretto; da esse vide colare sangue nero e sentì la voce del giovane principe che gli raccontò la sua tragica fine. Le fronde altro non erano che il risultato della metamorfosi delle lance con cui il giovane era stato trafitto: il cadavere giaceva lì sotto ma non perfettamente sepolto, sicché l'anima non era entrata nell'Ade. Enea si affrettò a tumulare degnamente Polidoro e ripartì, lasciando per sempre quel luogo maledetto. Proprio davanti al vestibolo e al limitar della soglia,
Pirro infuria corrusco di dardi e di bronzeo splendore; quale nella luce un serpente pasciuto di male erbe che il freddo inverno copriva gonfio sotto la terra, ora, lasciate le spoglie, nuovo e splendente di gioventù con il petto levato snoda le viscide terga, eretto nel sole e vibra in bocca con triplice lingua. (Virgilio Eneide) NOTA: Episodio legato alla fine di Priamo, re di Troia. Quando i Greci penetrano infine nella città egli riveste la sua vecchia armatura e vorrebbe cercare la morte nella mischia, ma la moglie Ecuba in lacrime lo convince a rifugiarsi con le donne sull'altare di Zeus Erceo. Così deve assistere allo spettacolo della morte del figlio Polite, inseguito da Pirro Neottolemo fin sui gradini dell'altare. Priamo in preda alla furia gli fionda con estrema potenza l'asta: nel poema virgiliano il colpo va decisamente a vuoto, mentre altri dicono che l'arma ferisce lievemente a un braccio Pirro, dopo essere passata per il suo scudo. In ogni caso Pirro afferra il re troiano e gli conficca la spada in un fianco, causandone la morte. Virgilio poi accenna a una successiva decapitazione del cadavere, senza però fare il nome dell'esecutore. Giunti a la riva, con fieri occhi accesi
di vivo foco e di atro sangue aspersi, vibrar le lingue e gitar fischi orribili [...] e gli angui s'affilar drittamente a Laoconte, e prima di due suoi pargoletti figli le tenerelle membra ambo avvinghiando, sen fero crudo e miserabil pasto. (Virgilio, Eneide) Nota: Laoconte era un veggente e gran sacerdote di Poseidone, o, secondo alcune fonti, di Apollo. Si narra che, quando i troiani portarono nella città il celebre cavallo di Troia, egli corse verso di esso scagliandogli contro una lancia che ne fece risonare il ventre vuoto, proferendo la celebre frase Timeo Danaos et dona ferentes («Temo i Greci, anche quando portano doni»). Atena, che parteggiava per i greci, punì Laocoonte mandando Porcete e Caribea, due enormi serpenti marini che uscendo dal mare avvinghiarono i suoi due figli, egli accorse in loro aiuto e fu stritolato assieme ad essi. Secondo un'altra versione i due serpenti furono inviati da Poseidone, che punì il suo sacerdote per essesi sposato contro la volontà divina. I Troiani presero questo come un segno, tenendo così il cavallo tra le loro mura. ( fonte: Wikipedia) L'armi canto e'l valor del grand'eroe
che pria da Troia, per destino , a i liti d'Italia e di Lavinio errando venne; e quanto errò, quanto sofferse, in quanti e di terra e di mar perigli incorse, come il traea l'insuperabil forza del cielo, e di Giunon l'ira tenace; e con che dura e sanguinosa guerra fondò la sua cittade, e gli suoi dei ripose in Lazio: onde cotanto crebbe il nome de' Latini, il regno d'Alba, e le mura e l'Imperio alto di Roma. (Virgilio, Eneide) |