(P. Ottone, La decadenza della nostra civiltà -1994-)
Il denaro è necessario per vivere bene; e vivere bene è l'ultima salvezza di questi esseri umani che , altrimenti, sarebbero colti dalla disperazione, e non saprebbero perchè sono al mondo.
(P. Ottone, La decadenza della nostra civiltà -1994-)
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[...] nonostante le stragi attraverso cui i figli di Allah ci insaguinano e si insanguinano da oltre trent'anni, la guerra che l'Islam ha dichiarato all'Occidente non è una guerra militare. E' una guerra culturale [...] che prima del nostro corpo vuol colpire la nostra anima. Il nostro sistema di vita, la nostra filosofia della vita. [...]
Ci ammazzano per piegarci. Per intimidirci, stancarci,scoraggiarci, ricattarci. [...] Ma come si fa a contare su un'Europa che è ormai Eurabia, che il nemico lo riceve con il cappello in mano, lo mantiene, e addirittura gli offre il voto? (Oriana Fallaci, da La forza della ragione) [...] ho assaporato il sale della speranza. La stessa in cui ora mi cullo guardando le fotografie trasmesse dalle sonde che cercano la vita su Marte e guardandole penso: non possiamo perdere. Perchè l'Islam è uno stagno . E uno stagno è una gora d'acqua stagna. Acqua che non defluisce mai, non si muove mai, non si depura mai, non diventa mai acqua che scorre e che scorrendo arriva al mare. Infatti si inquina facilmente, ed anche come abbeveratoio per il bestiame vale poco. Lo stagno non ama la Vita. Ama la morte. Per questo le mamme dei kamikaze gioiscono quando i loro figli muoiono, dicono Allah akbar-Dio è grande-Allah akbar.
L'Occidente è un fiume invece. E i fiumi sono corsi d'acqua viva. Acqua che defluisce continuamente e defluendo si depura, si rinnova, raccoglie altra acqua, arriva al mare, e pazienza se a volte straripa. Pazienza se con la sua forza a volte allaga. Il fiume ama la Vita. La ama con tutto il bene e tutto il male che essa contiene. La nutre, la protegge, la esalta e per questo le nostre mamme piangono quando i loro figli muiono. Per questo noi la Vita la cerchiamo ovunque, la troviamo ovunque. [..] E se non ce la troviamo ce la portiamo. In qualche modo ce la portiamo. No, non possiamo perdere. (Oriana Fallaci, da La forza della Ragione) Il nostro ordine politico non si modella sulle costituzioni straniere.
Siamo noi d'esempio ad altri piuttosto che imitatori. E il nome che gli conviene è Democrazia, governo nel pugno non di pochi, ma della cerchia più ampia di cittadini [...] Amiamo la bellezza, ma con limpido equilibrio: coltiviamo il pensiero, ma senza languori. [...] Non è vergogna, da noi, rivelare la propria povertà, piuttosto non saperla vincere, operando [...] Non solo i contemporanei, ma più i posteri ci ammireranno, come autori di una potenza che ha lasciato profonde tracce nel mondo e ricche testimonianze. (discorso di Pericle, Tucidide da Guerra del Peloponneso) Ma l'Uomo Occidentale, di cui i Greci furono i primi e forse i più grandi campioni, si porta in corpo uno stimolo che non gli consente di sostare su nessuna conquista: lo stimolo del progresso, che lo spinge a cercare di saper fare meglio e di più.
(I. Montanelli, Storia dei Greci) ... io sono atea, graziaddio. Irrimediabilmente atea.
E non ho alcuna intenzione d'esser punita per questo da quei barbari che invece di lavorare e contribuire al miglioramento dell'umanità stanno sempre col sedere all'aria a pregare cinque volte al giorno. (Oriana Fallaci, La rabbia e l'orgoglio) Più una società è aperta , più è esposta al terrorismo.
(Oriana Fallaci, La Rabbia e l'orgoglio) ... ma onestamente non me la sento di paragonare quelle graziose fiabe [di Mille e una Notte] all'Iliade e all'Odissea di Omero. Non me la sento di paragonarle ai Dialoghi di Platone, all'Eneide di Virgilio, alle Confessioni di Sant'agostino, alla Divina Commedia di Dante Alighieri, alle tragedie e alle commedie di Shakespeare e via di questo passo. Non mi sembra serio.
(Oriana Fallaci, La Rabbia e l'Orgoglio) E' un noto circolo vizioso: l’ossessiva, e di per sé giustificata, ricerca di sicurezza da parte di chi vive in costante pericolo, può indurlo in errori che ne accrescono ancor di più l’insicurezza. È capitato ad Israele. Cadendo stupidamente nella trappola preparata dai simpatizzanti di Hamas e spargendo sangue, il governo israeliano ha fatto un regalo ai suoi nemici [....]. E ha dato altra linfa alla generale ostilità per Israele, l’unico Paese al quale non si perdona niente. Pur essendo anche l’unico Paese che vive in permanente stato d’assedio dalla sua fondazione. Nulla misura la «popolarità» di Israele meglio dell’atteggiamento delle Nazioni Unite. Dove si passa spesso sopra ai delitti di qualunque sanguinario regime ma mai a quelli, veri o presunti, della democrazia israeliana.[....]
«Mi sono fatto l’idea — scrive — che Israele sia un Paese in cui la gente, più o meno consapevolmente, si sente spacciata (...) Forse hanno capito di poter vincere qualche altra battaglia ma che alla lunga la guerra sarà perduta. Hanno constatato che la violenza non è più utile alla causa di quanto lo sia stata l’utopia del dialogo ». Contro la sopravvivenza di Israele giocano tre forze: la demografia, la geo-politica e i sentimenti di ostilità di tanta parte del mondo (rilevanti pezzi di Europa inclusi). [...] C’è poi l’avversione di tanta parte dell’opinione pubblica mondiale. Chi finge che il pregiudizio antisemita non c’entri nulla deve spiegare questa mancanza di equanimità verso la democrazia israeliana. E deve spiegare perché la legittima difesa dei palestinesi si accompagni spesso alla cecità di fronte alla natura dei movimenti islamisti e alla ferocia dei nemici di Israele. Ricordo una lettera che mi inviò un tale a seguito di un articolo sul conflitto arabo-israeliano. Dopo avermi accusato di negare l’evidenza, ossia la «natura criminale» di Israele, quel tale concludeva con una domanda: «Ma perché difende Israele, lei che non è nemmeno ebreo?». Checché ne dicano i suoi nemici, Israele è una realtà fragile, precaria. Se un giorno venisse distrutto c’è chi brinderebbe anche in Europa. Ma quella tragedia anticiperebbe o accompagnerebbe una grande sconfitta occidentale: la vittoria di concezioni, modi di vita, istituzioni, antitetici ai nostri e a noi ostili. (dal Corriere di oggi, A.Panebianco) Anno 476 d.C. L'Impero Romano d'Occidente è ormai alla fine. Anche l'ultimo imperatore Romolo Augusto è stato ormai deposto. Roma non conta più nulla, Ravenna è il nuovo centro dell'impero, dove comanda Odoacre, un barbaro.
Flavia, cittadina romana sua prigioniera, si rivolge ad Odoacre rivendicando le proprie origini e la passata grandezza del popolo romano. <<Non sai ciò che dici. Io discendo da coloro che per anni vi hanno combattuti e ricacciati nelle selve a vivere come le bestie cui somigliate in tutto. Mi ripugna il vostro fetore, la vostra ignoranza, la vostra selvatichezza, mi ripugna la vostra lingua e il suono della vostra voce, simile più all'abbaiare di un cane che a espressione umana, mi fa schifo la vostra pelle che non sopporta la luce del sole; i vostri capelli di stoppa ed i vostri baffi sempre sporchi di avanzi di cibo [...]>> Odoacre serrò le mascelle: le parole sferzanti di Flavia lo avevano ferito e umiliato. Sapeva che non c'era nè forza, nè potere in grado di vincere quel disprezzo, ma dentro avvertiva forte il sentimento che lo aveva posseduto fin da giovane, quando era entrato nell'esercito imperiale: l'ammirazione per quelle città antichissime, per i fori e le basiliche, le colonne ed i monumenti, le strade, i porti e gli acquedotti, le insegne e gli archi, le solenni iscrizioni di bronzo, i bagni e le terme, le case, le ville così belle da sembrare residenze di dei piuttosto che di uomini. L'Impero era l'unico mondo in cui valesse la pena di vivere per un essere umano. |