La testimonianza di Glauco Maggi (La Stampa)
Grazie, Obama, grazie America. Il brillante atto di guerra dei militari Usa di ieri in Pakistan cancella finalmente un’angoscia che non mi ha mai lasciato, dai momenti di quell’Undici Settembre in cui vidi, testimone diretto dallo spiazzo di fianco al Winter Garden sotto le Torri, i primi innocenti buttarsi dai piani più alti, e poi il duplice collasso a seppellire le migliaia di vittime, e i coraggiosi soccorrittori. Io persi la casa nell’attacco, e mia figlia la sua scuola che divenne la sede dei pompieri e della Cia. La Stampa pubblicò in prima pagina, il 12 settembre, la mia testimonianza. Da allora, newyorkese sul campo, non ho mai dubitato che l’America si sarebbe rialzata. E il decimo, finalmente, sarà l’anniversario che ho sempre sognato. Osama bin Laden ha pagato, giustizia è fatta. La promessa l’aveva fatta Bush sulle ceneri di Ground Zero, e l’ha mantenuta il suo successore, in una continuità di impegno dei militari e della Cia che non è mai venuto meno, anche se a tratti poteva sembrare appannato dalle polemiche politiche sui mezzi, sui metodi, e a volte persino sui termini della "guerra al terrorismo". Ieri sera, guardando la folla che si è raccolta a Times Square e attorno al cantiere di Ground Zero, ho capito che la stessa angoscia è rimasta sempre ben custodita nell’animo di tutti gli americani, pronta ad esplodere nella gioia e nell’orgoglio del momento liberatorio. La Torre della Libertà, dopo anni di travagli urbanistico-finanziari, è ora al 65 piano sulla via dei 100 previsti, e il Memorial della Rimembranza non è ancora completato.
Ritardi che hanno fatto male, ma che ora appaiono come il frutto di una regia superiore. Mancava un mattone alla ricostruzione dello spirito e degli immobili-simbolo colpiti dal nemico, e quel mattone è ora stato ritrovato. E’ giusto che il battesimo della piazza rinata avvenga dopo che Osama è uscito per sempre di scena . La guerra al terrore non finisce oggi, ma l’aver girato la pagina più nera ha scatenato un entusiasmo e un patriottismo di popolo che sono il messaggio più potente contro i nemici della nostra civiltà. Per tutta la notte l’esplosione di gioia tra la gente a Times Square e l’invasione di folla attorno al cantiere di Downtown a New York sono state l’immagine di una resurrezione. Ho sempre conservato nella mia memoria lo smarrimento e le lacrime che rigavano i volti dei newyorkesi innocenti ai piedi delle Twin Towers, nella smorfia di un male subito, in quel limpido tragico mattino di settembre. Ieri quelle stesse facce erano l’espressione del bene riconquistato. E come 10 anni fa, quando da ogni angolo degli Stati Uniti gli americani si erano stretti commossi e solidali attorno alla città più colpita dalla furia degli uomini di Bin Laden, ieri la tv ha regalato le immagini festose delle università in delirio. I giovani che allora erano ancora dei bambini, che avevano visto le mamme e i papà travolti dal dolore e dalla preoccupazione, hanno conservato tutto dentro: non erano insensibili, hanno solo represso il sentimento di giustizia, e anche di vendetta, che hanno ora liberato senza freni, schiacciati davanti alla cancellata della Casa Bianca e nei cento campus sparsi nell’intero paese.
Dieci anni fa il silenzio e la compostezza delle masse ai funerali, e la cupa determinazione di George Bush sulle montagne di detriti quando fece il comizio giurando che i criminali avrebbero pagato. Ieri Obama che ha completato la missione mai interrotta, applaudito all’unanimità, anche dagli avversari politici del momento. Sullo sfondo, lo stesso urlo "Usa, Usa", "iu es ei, iu es ai", e le bandiere a stelle e strisce a sventolare, gloriose e minacciose per chi credeva di aver inferto un colpo letale all’America e ai valori di libertà e democrazia che incarna, e sta subendo la reazione paziente e implacabile di una grande nazione.
Grazie Obama, grazie America.
(Glauco Maggi, La Stampa)
Grazie, Obama, grazie America. Il brillante atto di guerra dei militari Usa di ieri in Pakistan cancella finalmente un’angoscia che non mi ha mai lasciato, dai momenti di quell’Undici Settembre in cui vidi, testimone diretto dallo spiazzo di fianco al Winter Garden sotto le Torri, i primi innocenti buttarsi dai piani più alti, e poi il duplice collasso a seppellire le migliaia di vittime, e i coraggiosi soccorrittori. Io persi la casa nell’attacco, e mia figlia la sua scuola che divenne la sede dei pompieri e della Cia. La Stampa pubblicò in prima pagina, il 12 settembre, la mia testimonianza. Da allora, newyorkese sul campo, non ho mai dubitato che l’America si sarebbe rialzata. E il decimo, finalmente, sarà l’anniversario che ho sempre sognato. Osama bin Laden ha pagato, giustizia è fatta. La promessa l’aveva fatta Bush sulle ceneri di Ground Zero, e l’ha mantenuta il suo successore, in una continuità di impegno dei militari e della Cia che non è mai venuto meno, anche se a tratti poteva sembrare appannato dalle polemiche politiche sui mezzi, sui metodi, e a volte persino sui termini della "guerra al terrorismo". Ieri sera, guardando la folla che si è raccolta a Times Square e attorno al cantiere di Ground Zero, ho capito che la stessa angoscia è rimasta sempre ben custodita nell’animo di tutti gli americani, pronta ad esplodere nella gioia e nell’orgoglio del momento liberatorio. La Torre della Libertà, dopo anni di travagli urbanistico-finanziari, è ora al 65 piano sulla via dei 100 previsti, e il Memorial della Rimembranza non è ancora completato.
Ritardi che hanno fatto male, ma che ora appaiono come il frutto di una regia superiore. Mancava un mattone alla ricostruzione dello spirito e degli immobili-simbolo colpiti dal nemico, e quel mattone è ora stato ritrovato. E’ giusto che il battesimo della piazza rinata avvenga dopo che Osama è uscito per sempre di scena . La guerra al terrore non finisce oggi, ma l’aver girato la pagina più nera ha scatenato un entusiasmo e un patriottismo di popolo che sono il messaggio più potente contro i nemici della nostra civiltà. Per tutta la notte l’esplosione di gioia tra la gente a Times Square e l’invasione di folla attorno al cantiere di Downtown a New York sono state l’immagine di una resurrezione. Ho sempre conservato nella mia memoria lo smarrimento e le lacrime che rigavano i volti dei newyorkesi innocenti ai piedi delle Twin Towers, nella smorfia di un male subito, in quel limpido tragico mattino di settembre. Ieri quelle stesse facce erano l’espressione del bene riconquistato. E come 10 anni fa, quando da ogni angolo degli Stati Uniti gli americani si erano stretti commossi e solidali attorno alla città più colpita dalla furia degli uomini di Bin Laden, ieri la tv ha regalato le immagini festose delle università in delirio. I giovani che allora erano ancora dei bambini, che avevano visto le mamme e i papà travolti dal dolore e dalla preoccupazione, hanno conservato tutto dentro: non erano insensibili, hanno solo represso il sentimento di giustizia, e anche di vendetta, che hanno ora liberato senza freni, schiacciati davanti alla cancellata della Casa Bianca e nei cento campus sparsi nell’intero paese.
Dieci anni fa il silenzio e la compostezza delle masse ai funerali, e la cupa determinazione di George Bush sulle montagne di detriti quando fece il comizio giurando che i criminali avrebbero pagato. Ieri Obama che ha completato la missione mai interrotta, applaudito all’unanimità, anche dagli avversari politici del momento. Sullo sfondo, lo stesso urlo "Usa, Usa", "iu es ei, iu es ai", e le bandiere a stelle e strisce a sventolare, gloriose e minacciose per chi credeva di aver inferto un colpo letale all’America e ai valori di libertà e democrazia che incarna, e sta subendo la reazione paziente e implacabile di una grande nazione.
Grazie Obama, grazie America.
(Glauco Maggi, La Stampa)