Anche la notizia del declino americano è ampiamente esagerata. Così come quella del prossimo "secolo cinese". Dopo l’ubriacatura sull’inevitabile e imminente fine dell’egemonia di Washington, a vantaggio delle nuove ed emergenti potenze mondiali, la saggistica americana ha cominciato a cambiare registro: non è vero niente, l’America è sempre più l’unica superpotenza globale e la crescita della Cina e degli altri Paesi, per quanto importante, non è sufficiente a intaccare il dominio globale degli Stati Uniti. Anzi: il divario è aumentato, ma a favore dell’America.
Una ricerca di Michael Beckley di Harvard, pubblicata da International Security, svela come oggi gli Stati Uniti siano più ricchi, più innovativi e militarmente più potenti della Cina, rispetto a quanto lo fossero nel 1991. Rispetto a vent’anni fa, oggi il cittadino cinese medio guadagna 17mila dollari meno dell’equivalente americano. La Cina ha ridotto la differenza con l’America in termini di prodotto interno lordo, ma dal 1991 a oggi il suo mercato interno si è ulteriormente rimpicciolito rispetto a quello degli Stati Uniti. Il gap militare tra i due Paesi è ancora più grande.
Dal 1989 al 1994 il bilancio della Difesa cinese è raddoppiato, poi è raddoppiato una seconda volta dal 1994 al 1999 e una terza dal 2005 al 2009, eppure resta di una grandezza otto volte inferiore rispetto a quello americano (600 miliardi di dollari l’anno, senza considerare la spesa per le guerre in Iraq e in Afghanistan). La forbice America-Cina è aumentata anche sulla quota del mercato delle armi: la fetta americana è salita al 68%, quella cinese è scesa all’1,5 per cento.
Questa crescita del dominio americano, malgrado la sempre forte percezione declinista, accade nel momento in cui l’economia cinese cresce del 9 per cento l’anno e l’America è attraversata dalla più grande crisi dai tempi della Grande Depressione, mentre Barack Obama fatica a far capire agli elettori che la ripresa sta arrivando e i suoi avversari repubblicani immaginano invece scenari da tregenda a fini elettorali. Se in questa situazione di difficoltà l’America è sempre più ricca, forte e potente dei suoi avversari, è facile intuire che cosa succederà quando sarà uscita definitivamente dalla crisi e quando emergeranno le contraddizioni del modello capitalista di Stato cinese.
UN MONDO AMERICANO-CENTRICO
Anche il solitamente scettico Nobel per l’Economia Paul Krugman inizia a essere ottimista sulla ripresa, mentre un paper del McKinsey Global Institute nota che l’America sta riducendo il debito totale (privato e pubblico) a ritmi da competizione. Un rapporto di BP prevede invece che nel 2030 gli Stati Uniti saranno energeticamente autosufficienti. Lo scenarista George Friedman, ex direttore di Stratfor, nei suoi libri sostiene che siamo soltanto all’inizio dell’Era americana. Il motivo non è soltanto economico, ma anche geopolitico: gli Stati Uniti non possono essere attaccati né via mare né via terra, al contrario dei grandi imperi del passato. Gli Stati Uniti controllano gli oceani, lo spazio, il commercio. Guidano un sistema di alleanze internazionali che raggruppa il 70 per cento del potere economico mondiale.
I principali competitor, la Russia e la Cina, non vanno oltre la Bielorussia e la Corea del Nord. Il mondo è americano-centrico, scrive Friedman, e perché rimanga tale è sufficiente che i potenziali sfidanti asiatici, europei dell’Est e arabo-petroliferi abbiano da risolvere grane interne o regionali. L’impetuosa e contemporanea crescita dell’India, aggiunge l’analista della Brookings Institution Robert Kagan nel nuovo e celebrato saggio The World America Made (Knopf, 160 pagine), dà fastidio alla Cina ed è un altro vantaggio strategico per gli Stati Uniti. Le previsioni del sorpasso dell’economia cinese su quella americana entro i prossimi due decenni non sono campate in aria, sono credibili. Ma sottovalutano le difficoltà di tenere certi ritmi di crescita, i problemi sociali incipienti (in venti anni ci saranno 300 milioni di pensionati cinesi con un crollo del rapporto lavoratori-pensionati da 8-1 a 2-1 a causa della politica demografica del figlio unico) e altre variabili che potrebbero fermare l’impetuosa crescita di questi anni.
LA PAURA DI PERDERE FA BENE
Queste previsioni ignorano anche i punti di forza del sistema americano: il dinamismo, la competitività, la capacità di rischiare, di adattarsi velocemente alle nuove realtà, la volontà di cambiare, di inventare e di crescere. È già successo in passato, in particolare negli anni Settanta, quando sembrava che prima l’Unione Sovietica, poi la Germania e il Giappone e più recentemente l’Europa avrebbero dovuto sorpassare gli Stati Uniti. L’America vive in un perenne stato di "quasi declino", ma non è detto che questa filosofia declinista sia necessariamente un male, perché la paura di perdere l’egemonia ha sempre convinto il sistema americano a raddoppiare gli sforzi per mantenere la leadership globale. In ogni caso anche se il sorpasso economico cinese dovesse effettivamente realizzarsi, cambierebbe poco.
Ciò che conta è la ricchezza interna, la capacità di innovazione, il livello di istruzione universitaria, l’abilità di attrarre investimenti stranieri, un apparato militare in grado di difendere il potere globale. Gli Stati Uniti, e le altre potenze attuali, hanno un reddito pro capite superiore ai 40mila dollari. In Cina il reddito a persona è di poco più di 4mila dollari, quanto in Angola, Algeria e Belize. Secondo le più ottimistiche previsioni, il reddito pro capite cinese nel 2030 sarà ancora della metà rispetto a quello americano, più o meno quanto quello odierno degli sloveni e dei greci.
La Cina, ricorda Robert Kagan nel libro sul mito del declino americano che Obama ha consigliato di leggere, è stata la prima economia mondiale già all’inizio del diciannovesimo secolo, ma non guidava il mondo, anzi era sottomessa alle volontà di piccole nazioni europee. Negli anni dell’Impero britannico, per fare un altro esempio, anche l’India aveva un prodotto interno lordo più grande di quello inglese, ma a dettare legge era Londra non Nuova Delhi.
La sintesi finale di Barack Obama, pronunciata con solennità nel discorso sullo Stato dell’Unione 2012, non lascia dubbi: «Chiunque dica che l’America è in declino, o che la nostra influenza è diminuita, non ha idea di che cosa sta dicendo».
Christian Rocca - link
Una ricerca di Michael Beckley di Harvard, pubblicata da International Security, svela come oggi gli Stati Uniti siano più ricchi, più innovativi e militarmente più potenti della Cina, rispetto a quanto lo fossero nel 1991. Rispetto a vent’anni fa, oggi il cittadino cinese medio guadagna 17mila dollari meno dell’equivalente americano. La Cina ha ridotto la differenza con l’America in termini di prodotto interno lordo, ma dal 1991 a oggi il suo mercato interno si è ulteriormente rimpicciolito rispetto a quello degli Stati Uniti. Il gap militare tra i due Paesi è ancora più grande.
Dal 1989 al 1994 il bilancio della Difesa cinese è raddoppiato, poi è raddoppiato una seconda volta dal 1994 al 1999 e una terza dal 2005 al 2009, eppure resta di una grandezza otto volte inferiore rispetto a quello americano (600 miliardi di dollari l’anno, senza considerare la spesa per le guerre in Iraq e in Afghanistan). La forbice America-Cina è aumentata anche sulla quota del mercato delle armi: la fetta americana è salita al 68%, quella cinese è scesa all’1,5 per cento.
Questa crescita del dominio americano, malgrado la sempre forte percezione declinista, accade nel momento in cui l’economia cinese cresce del 9 per cento l’anno e l’America è attraversata dalla più grande crisi dai tempi della Grande Depressione, mentre Barack Obama fatica a far capire agli elettori che la ripresa sta arrivando e i suoi avversari repubblicani immaginano invece scenari da tregenda a fini elettorali. Se in questa situazione di difficoltà l’America è sempre più ricca, forte e potente dei suoi avversari, è facile intuire che cosa succederà quando sarà uscita definitivamente dalla crisi e quando emergeranno le contraddizioni del modello capitalista di Stato cinese.
UN MONDO AMERICANO-CENTRICO
Anche il solitamente scettico Nobel per l’Economia Paul Krugman inizia a essere ottimista sulla ripresa, mentre un paper del McKinsey Global Institute nota che l’America sta riducendo il debito totale (privato e pubblico) a ritmi da competizione. Un rapporto di BP prevede invece che nel 2030 gli Stati Uniti saranno energeticamente autosufficienti. Lo scenarista George Friedman, ex direttore di Stratfor, nei suoi libri sostiene che siamo soltanto all’inizio dell’Era americana. Il motivo non è soltanto economico, ma anche geopolitico: gli Stati Uniti non possono essere attaccati né via mare né via terra, al contrario dei grandi imperi del passato. Gli Stati Uniti controllano gli oceani, lo spazio, il commercio. Guidano un sistema di alleanze internazionali che raggruppa il 70 per cento del potere economico mondiale.
I principali competitor, la Russia e la Cina, non vanno oltre la Bielorussia e la Corea del Nord. Il mondo è americano-centrico, scrive Friedman, e perché rimanga tale è sufficiente che i potenziali sfidanti asiatici, europei dell’Est e arabo-petroliferi abbiano da risolvere grane interne o regionali. L’impetuosa e contemporanea crescita dell’India, aggiunge l’analista della Brookings Institution Robert Kagan nel nuovo e celebrato saggio The World America Made (Knopf, 160 pagine), dà fastidio alla Cina ed è un altro vantaggio strategico per gli Stati Uniti. Le previsioni del sorpasso dell’economia cinese su quella americana entro i prossimi due decenni non sono campate in aria, sono credibili. Ma sottovalutano le difficoltà di tenere certi ritmi di crescita, i problemi sociali incipienti (in venti anni ci saranno 300 milioni di pensionati cinesi con un crollo del rapporto lavoratori-pensionati da 8-1 a 2-1 a causa della politica demografica del figlio unico) e altre variabili che potrebbero fermare l’impetuosa crescita di questi anni.
LA PAURA DI PERDERE FA BENE
Queste previsioni ignorano anche i punti di forza del sistema americano: il dinamismo, la competitività, la capacità di rischiare, di adattarsi velocemente alle nuove realtà, la volontà di cambiare, di inventare e di crescere. È già successo in passato, in particolare negli anni Settanta, quando sembrava che prima l’Unione Sovietica, poi la Germania e il Giappone e più recentemente l’Europa avrebbero dovuto sorpassare gli Stati Uniti. L’America vive in un perenne stato di "quasi declino", ma non è detto che questa filosofia declinista sia necessariamente un male, perché la paura di perdere l’egemonia ha sempre convinto il sistema americano a raddoppiare gli sforzi per mantenere la leadership globale. In ogni caso anche se il sorpasso economico cinese dovesse effettivamente realizzarsi, cambierebbe poco.
Ciò che conta è la ricchezza interna, la capacità di innovazione, il livello di istruzione universitaria, l’abilità di attrarre investimenti stranieri, un apparato militare in grado di difendere il potere globale. Gli Stati Uniti, e le altre potenze attuali, hanno un reddito pro capite superiore ai 40mila dollari. In Cina il reddito a persona è di poco più di 4mila dollari, quanto in Angola, Algeria e Belize. Secondo le più ottimistiche previsioni, il reddito pro capite cinese nel 2030 sarà ancora della metà rispetto a quello americano, più o meno quanto quello odierno degli sloveni e dei greci.
La Cina, ricorda Robert Kagan nel libro sul mito del declino americano che Obama ha consigliato di leggere, è stata la prima economia mondiale già all’inizio del diciannovesimo secolo, ma non guidava il mondo, anzi era sottomessa alle volontà di piccole nazioni europee. Negli anni dell’Impero britannico, per fare un altro esempio, anche l’India aveva un prodotto interno lordo più grande di quello inglese, ma a dettare legge era Londra non Nuova Delhi.
La sintesi finale di Barack Obama, pronunciata con solennità nel discorso sullo Stato dell’Unione 2012, non lascia dubbi: «Chiunque dica che l’America è in declino, o che la nostra influenza è diminuita, non ha idea di che cosa sta dicendo».
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